andrea trebbi
Arch. Andrea Trebbi
francesco piazzi

2014, eliobiemme, fatti non foste a viver come bruti

 

La denuncia del "liber'uomo"

 

In Andrea Trebbi l'alto profilo professionale si coniuga a una robusta moralità. Moralità, si badi bene, e non moralismo, che è invece un'esibizione di moralità. Come Vitruvio – archetipo di un'architettura "umanistica" che traduceva la formula ciceroniana del vir bonus dicendi peritus in vir bonus architecturae peritus – Andrea è, prima ancora d'essere un tecnico, un vir bonus, un "liber'uomo" – si sarebbe detto nell'Ottocento – animato da spirito di indipendenza e da una passione civile che spesso si traduce in indignazione al limite dell'intransigenza. Un'indignazione – per l'inefficienza, l'inadeguatezza delle successive amministrazioni comunali e il torpore letargico della cittadinanza bolognese – che è resa, nella serie di articoli raccolti in questo libretto, con una scrittura tipica del pamphlet piuttosto che dello stile giornalistico.

 

Contro gli Apparati e l'Amministrazione

 

Il primo bersaglio polemico dell'indignatio polemica di Andrea sono l'Amministrazione comunale e gli "apparati", che "tutelano l'immobilismo e alimentano la non conoscenza", impediscono la selezione – in base al merito e alla comprovata sollecitudine per il bene della città – di persone "non schierate politicamente od opportunisticamente, e quindi libere di agire in autonomia". Le modalità per gli affidamenti degli incarichi di progettazione sono duramente criticate dal Nostro, per il quale un amministratore onesto come il compianto Maurizio Cevenini costituisce un'eccezione, e la sua "diversità" – Andrea non lo dice, ma forse lo pensa – ne spiega il tragico destino.
In particolare gli strali sono indirizzati contro gli amministratori scelti dai partiti, dispensatori di promesse senza premesse, professionisti della negoziazione e del compromesso, voltagabbana sempre-in-piedi che vincono le "primarie" prima con un candidato e poco dopo col suo avversario. Politici inetti e inconcludenti ("Civis mai visto, metropolitana mai vista, People Mover mai visto"), che costituiscono "il territorio sconfinato di chi non sa fare nessun lavoro ... o di chi cerca privilegi o scorciatoie, o di chi ostacola le capacità e i meriti". In estrema sintesi, il territorio di "chi è portatore di un quadro qualitativo – culturale, operativo, etico, deontologico – intollerabile, non solo in questo tempo, ma in ogni tempo".

 

Contro i cittadini

 

Il secondo bersaglio polemico sono i cittadini stessi, oggetto da parte di Andrea di una "pietosa ammirazione" per la loro "beata incapacità" di riscontrare le nefandezze perpetrate da una gestione comunale che da decenni devasta l'ambiente con interventi casuali e disorganici: "sconnessi frammenti generati dall'estemporaneità". Una cittadinanza, quella bolognese, "affetta da uno status culturale di retroguardia artistica ... angustiata dal gene dell'immutabilità", sempre ostile a ogni novità: dalle ‘Gocce' (demolite!), alla Nuova Sede Comunale, alla Torre in acciaio e vetro nel Museo della Città. Una cittadinanza inerte, che accetta supinamente la pubblicità delle scarpe firmate sulla facciata di San Petronio, i portici ridotti a latrine, le bici a tutta birra sotto i portici, le imbrattature dei muri, senza mai pretendere che una polizia urbana, da decenni scandalosamente esentata dal dovere di scendere in strada, finalmente batta un colpo. Riguardo allo sconcio dei "codardi scarabocchi", Andrea propone che i proprietari ripuliscano subito a loro spese le superfici imbrattate, poi trasmettano le relative fatture alle istituzioni competenti con richiesta di risarcimento del danno causato dall'inadempienza nell'attività di controllo dei beni architettonici pubblici e privati. Una proposta, questa, che personalmente sottoscrivo con entusiasmo, ma che comunque – al di là dell'incerta praticabilità giuridica – è un ennesimo invito, rivolto ai concittadini, a partecipare ("Qui dobbiamo sbatterci di più, altro che crisi"). Di qui anche la malinconica – del resto, topica negli scritti dei moralisti – laus temporis acti nella rievocazione quasi poetica dei prisci mores della Bologna dei tempi di Dozza e Fanti. Una Bologna che – al pari della Firenze dentro da la cerchia antica rimpianta da Dante – rappresentava "un formidabile modello di spassionato ed appassionato volontariato al servizio dell'intera città: la neve, per esempio, non costituiva mai un problema perché al comparire del primo fiocco la mobilitazione era pronta e massiccia ... L'efficiente attività di quella base era decisiva per assicurare alle Amministrazioni ‘lo star bene in città'". Da quei generosi comportamenti arcaici, dalle virtù civiche dei vecchi "compagni" occorre ripartire per salvare la città dall'inarrestabile decadenza: "Per ‘ricominciare a fare', ‘ripartire', ‘rimboccarsi le maniche', affermazioni trasversali oggi ampiamente condivise, è indispensabile sovvertire comportamenti profondamente insinuati nelle persone di Bologna e principalmente proprio nei figli e nei nipoti di quella estesa base in cui continuano a riconoscersi per tradizione elettorale ma non per dedizione alla causa". Il senso civico e l'amore per la propria città fanno la differenza, al di là delle ideologie e delle fazioni partitiche. Ne è un esempio Torino, che ha saputo realizzare recenti restauri mirabili, organizzare le Olimpiadi Invernali del 2006, dotarsi di un nuovo stadio: "Sono le popolazioni e la saggezza usata nel scegliere i loro governanti ad aver fatto la assoluta differenza, e non il colore politico che a Torino e a Bologna è il medesimo da decenni".

 

La pars construens

 

Naturalmente Trebbi, che oltre ad essere innamorato della sua città è un architetto di valore, non si limita alla pars destruens, ma fornisce anche tutta una serie di indicazioni costruttive, proponendo un programma volto a garantire una dignitosa vivibilità degli spazi urbani. Un programma, che preveda parcheggi e sistemi di mobilità sotterranei; il ridisegno della viabilità a vantaggio della pedonalizzazione, della ciclabilità e del verde; un'oculata gestione dell'assetto della cartellonistica, dei cordoli, degli asfalti, dei parchi. Un programma, che privilegi la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente invece di continuare a cementificare le periferie con nuove squallidissime costruzioni. Un programma, che preveda la creazione di bacini d'acqua, di edifici per la riabilitazione fisica, di nuovi impianti sportivi incluso lo stadio, e finanche una nuova sede aeroportuale. Trop vaste programme? Velleitarismo? Utopia? O piuttosto passione, energia vitale la cui tensione può apparire esasperata, ma solo perché deve controbilanciare l'ignavia mortale degli "apparati", la loro "consolidata inerzia al limite dell'ostruzione", la "subdola consuetudine di farsi scivolare addosso la proposta, evitandola".

 

Il valore simbolico delle opere ambiziose

 

La passione porta Andrea a mirare subito all'obiettivo più alto, apparentemente eludendo i passaggi logici e operativi intermedi. "Sento osservare che gli stadi ... non sono indispensabili: è facile replicare che chi moltiplica la costruzione di stadi ... lo fa dopo aver moltiplicato la costruzione di ospedali, di musei, di teatri, di strade, di stazioni ferroviarie, di aeroporti, di metropolitane, di parchi, di impianti dedicati ad altre discipline sportive...". Allora, verrebbe spontaneo obiettare, perché non impegnarsi prima nella costruzione degli elementi più indispensabili e che costituiscono il prerequisito per la costruzione di un nuovo stadio (strade, metropolitana, ecc.)? Il fatto è che la passione altera, in Andrea, l'ordine di successione temporale, dribbla i passaggi logici, come nei famosi voli pindarici. L'istanza affettiva ed etica lo porta a considerare come ignavia e inconcludenza una procedura lenta, prudente, graduale. Anzi, lui pensa – e probabilmente non a torto – che un progetto grande e nobile assuma una funzione regolativa, abbia un effetto di trazione nei confronti anche delle realizzazioni minori. L'imporsi una meta alta e ambiziosa – ambizioso è uno dei mot-thème degli scritti di Andrea – obbliga a conseguire anche gli obiettivi sottesi ed impliciti. Ecco allora che un nuovo stadio per Bologna si carica di valenze simboliche e quasi palingenetiche, tanto è vero che in un pamphlet sul calcio bolognese scritto qualche anno fa Andrea, constatando il degrado di Bologna, supponeva che "più credibilmente possa essere la squadra del calcio a incoraggiare la ripresa della città che non il contrario".

 

Meglio molti bravi architetti che poche archistar

 

Ma la vera ambizione di Andrea non è in primo luogo quella di dotare la città di singole opere memorabili. Certo, Bilbao non costituirebbe un'ambita meta turistica senza le singole opere spettacolari che poche archistar erano in grado di realizzare. Ma "risulta più significativa per una città l'opera continuativa di bravi architetti ... rispetto all'episodicità di una prova data da una qualsiasi archistar". E ciò vale a maggior ragione nel caso di Bologna, dove i progettisti stranieri scelti da un'amministrazione incompetente sono "certamente accomunati dall'estraneità alle capacità delle archistar". E comunque, "le archistar non servono, perché la tonica salubrità del territorio richiede la diffusione di bravi architetti piuttosto che l'effimero attestato di un evento il cui destino, in assenza di quella diffusione, è di concludersi nel vuoto della vanità".
Andrea punta il dito contro l'incapacità di concepire una visione organica, complessiva della città, una visione che non si limiti a curare (si fa per dire) il solo centro lasciando al loro destino le periferie: "... è come esaltare in un'abitazione il ‘salotto' e trascurare gli altri spazi". Ma per raggiungere una coesione urbana tra il centro e le zone esterne occorre – come s'è fatto nella maggior parte delle città europee dotate di un nucleo storico – lavorare sulla mobilità sotterranea, sulla diffusione del verde, sulla limitazione complessiva dell'uso dell'auto privata.

 

La modesta offerta di cultura di Bologna "la dotta"

 

L'assenza di una tonicità generalizzata e la mancanza di una prospettiva culturale sottesa ai singoli interventi rendono velleitaria anche l'idea di fare di Bologna un'attrattiva culturale, perché "la visita culturale di un territorio ... pretende la salubrità ambientale e la vivacità, appunto, culturale". Ma nella "dotta" Bologna, l'offerta di cultura è rivolta al visitatore in un contesto "fatiscente in materia di decoro urbano, di piccola e grande mobilità, di parcheggi, di infrastrutture ... Una meta di forte caratura ‘dotta' ... deve candidare la generale tonicità del suo ambiente architettonico". Ben diversamente, la stessa Bilbao – per vari aspetti simile a Bologna – è oggi meta turistica ambita grazie al rinnovo architettonico complessivo voluto da un'amministrazione civica illuminata, dotata di capacità gestionali e progettuali ben diverse da quelle che da decenni caratterizzano le amministrazioni della nostra città: "dinamiche ed esaltanti a Bilbao, pigre e deprimenti a Bologna". E il percorso culturale del Genus Bononiae, basato su un repertorio architettonico mirabilmente recuperato, non è certo stato pianificato dalla Municipalità.
Andrea lamenta poi l'angustia e l'indolente ripetitività di un'offerta culturale basata sulla continua riproposizione di "soli tre o quattro rappresentanti delle arti figurative", in primis Morandi, "con il corredo fotografico dei suoi ‘primi piani', che sembrano essi stessi interrogarsi sulla caparbia divulgazione". E poiché in ogni parte del mondo "un dipinto di Morandi è associato a un assegno circolare", viene il sospetto che la "dotta" Bologna privilegi "il dirigismo del mercato rispetto alla versatilità della conoscenza".

 

Salvare la città dai barbari

 

Forse, leggendo questi articoli – che sono un atto di amore nei confronti di Bologna – a qualcuno il tono parrà eccessivamente acceso e risentito, la critica troppo aspra e ingenerosa, la pars construens sbilanciata a favore della pars destruens. Ma la veemenza polemica nasce in Trebbi da un sentimento di emergenza, dalla paura che il degrado della città progredisca oltre un punto di non ritorno. È urgente invertire il corso della decadenza di Bologna. È indispensabile che i cittadini escano del torpore "per imparare a distinguere, per conoscere, per organizzarsi, per fare ... ma, soprattutto, perché i barbari non se ne impossessino definitivamente".

 

Francesco Piazzi